Melchiorre Bega Architetto
Stefano Zironi
Editoriale Domus Milano 1983
Nel cercare di progettare una Green Station, con
l’obbiettivo di rifunzionalizzare in chiave sostenibile un distributore di
benzina, non si può ignorare tutto il processo, di sviluppo architettonico e sociale,
che ha portato ad un esigenza smisurata di punti di rifornimento per le
automobili. Nell’attenta analisi di questo processo è impossibile non tener
presente quello che è il simbolo di questo processo: l’autostrada. Questo termine venne utilizzato per la prima
volta in un documento ufficiale del 1922 in cui l'ingegnere Piero Puricelli
presentava il progetto dell'autostrada dei Laghi; con quel termine indicava
quelle strade caratterizzate da un percorso rettilineo (per quanto possibile),
senza ostacoli, caratterizzate da un'alta velocità raggiungibile, percorribili
dai soli veicoli a motore. Sempre legata a questa importantissima maglia
autostradale è la nascita nel 1947 del primo autogrill: un nuovo luogo di
consumo specificatamente destinato agli automobilisti. Ad “inventarlo” è Mario
Pavesi, ma in quei punti di ristoro si specchia tutta l’Italia del boom
economico: la rete autostradale, la motorizzazione di massa e i nuovi consumi.
Tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta la ristorazione autostradale italiana
è gestita prevalentemente dalle aziende alimentari Motta, Alemagna e Pavesi e si
deve agli architetti Angelo Bianchetti, Melchiorre Bega e Carlo Casati la
progettazione di queste nuove aree di servizio: il primo lavorava per Pavesi,
il secondo per Motta, il terzo coordinava invece il progetto per la Società
Autostrade per l'impatto della struttura a ponte dal punto di vista
paesaggistico.
L’analisi condotta da Zironi riguarda essenzialmente la
figura di Bega non solo come uomo industriale ed architetto ma come grande
interprete delle esigenze di un preciso periodo storico.
L’intero libro segue quelle che sono state le tappe
fondamentali della vita di questo grande personaggio. Melchiorre Bega nacque a
Caselle di Crevalcore nel 1898, si laureò in architettura all'Accademia di
belle arti di Bologna. Dove ottiene la licenza di professore d’architettura.
Contemporaneamente partecipa alla conduzione della ditta e fin dal 1919 si
dedica a opere di architettura, soprattutto ristrutturazioni e arredi di
alberghi, caffè, ristoranti, a Bologna, a Roma, a Milano e altre città
d'Italia. Nel 1923 progetta il nuovo stabilimento Bega in via Maggiore a
Bologna, che, diviso in reparti specializzati, ospita 250 operai. Bega è forse
l'esempio più singolare di affermazione e di successo nel campo
dell'architettura degli interni nel periodo fra le due guerre. Uno di quei casi
in cui l'amalgama di talento, iniziativa, operosità, professionalità produce
effetti concreti visibilissimi. L'elenco dei mobili disegnati da Bega ed
eseguiti nella sua fabbrica non ha fine, tutti realizzati analizzando quelle
che erano le vere esigenze delle persone, con un assoluta cura del dettaglio in
quanto sosteneva che l’architettura non è fatta solo di grandi cose, ma di un
insieme di piccoli elementi che rendono migliore la vita.
Dal 1941 al 1944 diresse, dopo il fondatore Gio Ponti, la
rivista Domus, insieme a Pagano e Bontempelli, sottolineando l’appartenenza
alla corrente razionalista, cercando di proporre soluzioni alla grande
devastazione architettonica dei bombardamenti, anche con progetti che rimasero
purtroppo solo teorici.
Nel dopoguerra, dopo essersi affermato sia in Italia che
all’estero, si dedicò maggiormente alla progettazione architettonica ed
urbanistica, è di questo periodo infetti la torre Galfa a Milano una parete di
cristallo pulita e senza ostacoli a cento metri dal suolo, un architettura
“pulita” che si scaglia verso il cielo.
Un analisi attenta e dettagliata viene condotta sulla lunga
collaborazione che Bega ebbe con la Perugina e la Motta, che, come sottolinea
il titolo del paragrafo, segnarono il grande balzo verso un’architettura di
rappresentanza.
Con le strutture realizzate per queste due grandi ditte
alimentari, a partire dalla ristrutturazione o nuova progettazione di negozi e
padiglioni per le fiere, Bega sottolinea la necessità di superare i dati
tecnici alla ricerca di nuove immagini e di una spiccata funzionalità. Non
solo, la tensione creativa e un atteggiamento di costante attenzione all’evolversi
della società e dei suoi costumi permettono all’architetto nella sua
dinamicissima attività di essere presente e pronto a studiare i nuovi temi
architettonici legati alla nascita delle nuove grandi arterie di traffico, le
autostrade, che fanno parte dello sviluppo economico del nostro paese. Si
rinnova così, nei progetti per gli autogrill commissionati da Motta, un aspetto
della personalità di Bega: il saper eseguire interventi d’avanguardia con
tecnologie avanzate in tempi brevissimi.
M. Bega dunque realizza lungo le autostrade luoghi di
ristoro e i servizi che non sono interventi isolati ma razionalizzati
all’intera dinamicità delle arterie.
Il primo Autogrill per la Motta tra Casal Pusterlengo e
Piacenza è il Somalia del 1959 dove realizza un architettura al servizio
dell’uomo, come lo sono i sui mobili, con particolare attenzione alle
funzionalità impiantistica, ai percorsi e alle comodità di sosta.
Quasi contemporaneamente nasce il PONTE di canta gallo, il
più grande posto di ristoro in Europa e il primo realizzato come un vero e
proprio ponte a cavallo dell’arteria autostradale, come a voler riconnettere
due sponde. Il ponte di ferro è tutto racchiuso da un serramento di alluminio e
cristallo, smaltato e temperato in verde scuro, è una nave verde, un’oasi di
vero ristoro vicino Bologna con: due bar, un ristorante, servizi, negozi e
ascensori.
In fine troviamo altri esempi simili a questo come: il
Mottagrill Tre Piani a Teano Est del 1964, quello sulla Roma-Napoli e quello a
Badia al Piano.
Nel 1967 sul criterio del “ponte” nasce con Nervi il Motta
Grill di Limena a Padova che sfrutta una struttura di ferro e c.a. ardita. Le
indicazioni progettuali e le elaborazioni tecnologiche attorno a questo tema
hanno fatto si che per questo tipo di ristoro si evidenziasse lo “stile Bega”.
Dall’analisi condotta da Zironi si intuisce perfettamente
come a Bega con le sue architetture spetta il compito gravosissimo di
ricostruire dopo la guerra , una risposta febbrile alla necessità di quegli
anni che sottolinea in modo indistinguibile il “fare architettura” di questo
straordinario architetto e industriale.
Non gli piaceva reclamare a gran voce la propri opera
accompagnava la sua figura d’architetto con quella di dirigente di fabbrica
cercando in ogni cosa l’eleganza dello stile ereditato modesta borghesia
artigianale bolognese, dalla quale discendeva. Cercò di evolvere nel tempo
grazie alla Ditta l’artigianato in industria rendendo così i beni accessibili a
tutti pur mantenendo sempre un elevato
standard qualitativo. Per lui architettura e mobili se prodotti con una buona
tecnica avevano ragione d’esistere anche se non lanciavano appelli o messaggi.
Per questo dopo la guerra si senti in dovere di collaborare alla ricostruzione,
come un buon tecnico, senza la pretesa di lasciare forti messaggi ma con la
consapevolezza di progettare seguendo quelle ch erano le esigenze della
popolazione seguendo un stile “moderno”.
Egli stesso afferma: ” Il
mio progetto è, e vuole essere, schiettamente moderno, e, appunto perché tale,
e soltanto come tale, può aspirare ad ambientarsi nella monumentalità
circostante… è materialmente impossibile imitare, copiare le architetture
passate per i temi paratici e artistici di oggi: se anche ciò fosse
materialmente possibile, non lo sarebbero artisticamente e moralmente, per
l’insincerità che ne deriverebbe. Tutte le epoche famose per l’arte hanno
costruito “modernamente” e quelo che noi oggi chiamiamo “ambito” non è altro
che una sistemazione, una fusione, risultati nel tempo dell’accostamento di
epoche e stili diversissimi: accostamento non predisposto con spirito
scolastico e timoroso, ma con attiva e viva sensibilità artistica da parte di
costruttori che non temono di esprimersi nello stile “moderno” del loro tempo…”